C’è qualcuno che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua formazione e nella sua scelta di intraprendere questo mestiere?
Probabilmente, se nel 2015 avessi lavorato per una persona diversa, le cose sarebbero andate in altro modo. E invece ero collaboratrice di Enzo Biffi Gentili, storico e collezionista di ceramica. Entrare nel suo studio era una delizia per gli occhi. Si veniva catapultati in un mondo parallelo, con ceramiche di ogni forma, dimensione e colore. Ce n’erano talmente tante che, nonostante la nostra collaborazione sia durata diversi anni, ogni volta che entravo ne vedevo sempre una che non avevo notato prima. Il primo incontro con la ceramica, quello più teorico, più “ammirato”, lo devo a lui. Parallelamente c’è poi stato il percorso pratico con la mia insegnate, Laura Astengo, che è stato decisivo per me. Laura ha saputo non solo guidarmi nell’apprendimento della corretta lavorazione al tornio, ma mi ha anche insegnato a rispettare la terra, a conoscerla e interpretarla, a “sentirla” con le mani.
Da cosa trae ispirazione per la realizzazione delle sue opere?
Da ciò che il mio occhio percepisce come armonico nella quotidianità. Le cose e i luoghi di provenienza di questa armonia sono i più vari: dagli oggetti di uso comune al cibo, dai paesaggi montani, a cui sono particolarmente legata, a quelli urbani o industriali. In generale, sono molto più affascinata dai profili delle cose rispetto ai loro decori. In alcuni casi mi concentro sulla reinterpretazione di determinate forme, in altri lascio che siano solo le mie mani a guidarmi nella creazione, per poi ritornare sull’oggetto una volta finito e studiarlo da un punto di vista “critico”. Sarebbe stato meglio farlo più svasato? Più alto? È pratico da utilizzare? Occupandomi principalmente di ceramiche d’uso e di arredo, fin dalla fase progettuale cerco di considerare ogni singolo oggetto in funzione del ruolo che avrà, quasi sempre parte di un tutto. Dovrà essere armonico non solo come pezzo singolo, ma anche inserito nel contesto del quale entrerà a far parte.
Cosa prova quando lavora l’argilla?
La condizione nella quale ci si immerge durante la lavorazione è un aspetto molto affascinante. Per poter centrare una palla di terra su un piatto che gira è necessario essere solo ed esclusivamente lì con la mente. Il motivo è che sei tu a dover conferire l’equilibrio all’oggetto che stai creando, e questo richiede una completa presenza. Nel mondo frenetico nel quale ci troviamo a vivere, fatto di stimoli continui e ininterrotti, nel quale ci viene spesso richiesto di essere contemporaneamente concentrati su più questioni, riuscire a essere in un solo posto in modo incondizionato è decisamente terapeutico. Solo una volta focalizzati sul “qui e ora” si può cominciare a “sentire” con le mani: sentire quando la terra va bagnata, se lo spessore dell’oggetto è uniforme, se è il caso di asciugarlo un po’ prima di proseguire la lavorazione per evitare che collassi. Su due piedi uno direbbe che sono tutte decisioni che dipendono dalla vista, invece riguardano solo il tatto.
Cosa ama di più del suo lavoro?
Rispondere in modo univoco è difficile. Gli aspetti che amo sono molti. Decido di concentrarmi su quello meno scontato, più personale, più legato al “dialogo” con l’elemento nella lavorazione a mano: la terra ha i suoi tempi e ti insegna a rispettarli. Il suo metodo di insegnamento è abbastanza brutale ed è fatto di crepe e fratture. Per fare un esempio pratico, non puoi realizzare e rifinire un pezzo nello stesso giorno, perché la terra richiede di perdere la sua acqua in eccesso in modo graduale. Per la rifinitura se ne riparla almeno il giorno dopo. Sempre che l’oggetto non sia particolarmente grande, sempre che non sia inverno e sempre che non piova, tutti fattori che rallentano i tempi di asciugatura. Sei tu che rispetti e aspetti, tu che assecondi. Non è mai il contrario, e non importa quanto tu abbia fretta.
Ha già avuto modo di collaborare con designer o per progetti particolari? Se sì quali? Che esperienze sono state per lei?
Il momento della progettualità, la definizione del “cosa” e del “come” è uno degli aspetti che ho più a cuore. Ho avuto il piacere di collaborare con diversi committenti, chef e privati, con le idee molto chiare sul tipo di servizio da tavola che volevano. Il confronto in questo tipo di situazioni è sempre arricchente: lo studio delle forme, delle linee, dei dettagli della rifinitura. Normalmente, in contesti di questo tipo, cerco sempre di trovare e spiegare i punti critici delle caratteristiche di un determinato oggetto, perché il mio obiettivo è andare oltre l’estetica e calarlo nell’utilizzo intensivo della vita di tutti giorni, nel suo essere davvero “funzionale”. Questo approccio mi permette di instaurare un vero e proprio confronto con il committente, di ascoltare le sue idee e le sue necessità, interpretarle e infine tradurle in qualcosa di reale, un oggetto che è esattamente l’oggetto che voleva. Una ceramica cucita su misura.