Come si è inserita la sua famiglia in questa storia?
Tutto è partito da una donna, la mia antenata Concetta Venezia, figlia di commercianti, divenuta sposa nel 1905 di Peppino Nocito, suo cugino, ultimo rampollo di una famiglia di nobili origini. Peppino non voleva che sua moglie lavorasse, sarebbe stato disdicevole per il suo status sociale, ma la componente femminile della mia famiglia si è fin da allora distinta per una certa ribelle caparbietà. Concetta, incapace di adattarsi alla vita comoda, approfittò dell’arrivo nell’albergo di proprietà di famiglia di un rappresentante di gioielli e, fattisene lasciare alcuni, cominciò a venderli alle amiche di nascosto dal marito. Quando Peppino se ne accorse non fu un momento facile. Non sappiamo i particolari di quello che accadde. Sappiamo solo che, quattro anni dopo, la coppia era ancora ben salda, l’albergo non c’era più e Concetta era la titolare della più importante gioielleria di Sciacca. Dalle sue mani passarono montagne di corallo, la grande epopea della pesca era ancora in corso e finì solo nel 1914, con l’inizio della Grande Guerra.
Come si distingue il corallo di Sciacca?
È un corallo unico per durezza, lucentezza e compattezza. Ha una gamma di colori che vanno dal rosa pallido all’arancio intenso, a volte segnato dal tempo, ed è completamente ecosostenibile in quanto trattasi di corallo morto, subfossile. Per raccoglierlo non si distruggono organismi viventi.
Quali sono le tecniche e le principali sfide della lavorazione del corallo?
Lavorare il corallo è un mondo a parte, scandito dal suo “canto”, il tintinnio che emette quando due pezzi si urtano. Non è possibile automatizzare nulla, deve essere tutto fatto manualmente, meglio se con strumenti realizzati o modificati ad hoc, in modo da poterne gestire le irregolarità e l’unicità, e secondo tecniche antiche che vengono tramandate unicamente dai maestri corallari. Lavorare il corallo è un’opera di scultura vera e propria, che si fa in tandem con il materiale stesso: tu fai quello che il corallo ti lascia fare, devi cogliere quello che ti suggerisce. Nella mia formazione, la svolta è stata la possibilità di apprendere il mestiere da un maestro straordinario come Platimiro Fiorenza che, nonostante le perplessità iniziali dovute all’arrivo di una donna in un mondo di soli uomini, mi ha infine accolto nella sua bottega e insegnato i segreti della sua antica arte.
Quella della vostra famiglia è una storia in cui le donne sono sempre state protagoniste. È ancora una sfida?
A partire da Concetta, le donne sono sempre state protagoniste della storia imprenditoriale della nostra famiglia, con l’unica interruzione di un periodo in cui mancò l’erede femminile. Mio padre fu figlio unico e volle fare l’ingegnere. Io ho riaperto l’attività nel 2005. La verità è che, in Sicilia, sotto le apparenze, vige un vero matriarcato e la nostra terra è piena di storie di donne indipendenti, anche imprenditrici, come Donna Franca Florio. Questo non vuol dire che le sfide non siano tante e dure, anche oggi. Ho dovuto lottare, anche per la mia formazione.
Quando realizza gioielli, cosa guida la sua creatività?
Ogni giorno, l’ispirazione nasce da quello che mi circonda: il mare, il sole, la natura, le tradizioni della mia terra, non solo quelle relative ai gioielli ma anche ad altri mestieri, come la cartapesta e la ceramica.
Cosa ha significato per lei il riconoscimento MAM – Maestro d’Arte e Mestiere?
Ho accolto la notizia con incredulità: mi sono sentita quasi paralizzata, prima di concedermi all’entusiasmo. Non mi sentivo all’altezza di raggiungere il medesimo traguardo del mio maestro Platimiro Fiorenza, ma allo stesso tempo il premio rappresentava il riconoscimento che sentivo di meritare per la mia passione, per le difficoltà incontrate nel mio percorso. Non è solo un traguardo, è anche un nuovo punto di partenza, perché il corallo è un mondo infinito, c’è ancora moltissimo da imparare.