Diego Percossi Papi è nato a Roma nel 1946, frequenta la facoltà di architettura dopo aver terminato gli studi classici e contemporaneamente intraprende da autodidatta l’attività di artista-scultore-orafo con lo spirito e la libertà dell’artifex rinascimentale. Grazie alla sua bravura, alla sua competenza e al suo indiscutibile savoir-faire, vince, nel 2016, il premio MAM- Maestro d’Arte e Mestiere, promosso da Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte.

Qual è la sua storia?

Terminato il liceo classico mi sono iscritto alla facoltà di Architettura. Durante gli studi universitari, ho iniziato da autodidatta a interessarmi alla scultura utilizzando principalmente il metallo, per poi dedicarmi gradualmente ad oggetti d’arte, compresi naturalmente i gioielli.

Non avevo seguito alcuna scuola d’arte né tecnica, per cui il mio approccio è stato istintivo e naturale. Ho cominciato a rappresentare la realtà attraverso i profili utilizzando il cloisonné, un’antica tecnica declinata in molti modi in tutto il mondo e in tutte le epoche. Ho elaborato un mio personale cloisonné negli spessori, nei materiali e nelle forme, utilizzandolo anche per forme barocche, inusuali per questa tecnica. La mia è un’ appassionata storia di ricerca che ha data vita a un’ attività che oggi gestisco con mia moglie Maria Teresa e i miei figli Valeria e Giuliano.

Adesso i miei progetti più arditi vengono supportati dalla capacità sia realizzativa sia di padronanza dei nuovi sistemi informatici di mio figlio Giuliano, ma l’artigianalità e la manualità sono sempre parte integrante di ogni nostro lavoro.

La mia ispirazione principale sono i miei orizzonti culturali, ambientali e architettonici.

Quanto ha inciso la sua formazione nella scelta di questo lavoro?

Moltissimo, perché mi ha dato gli strumenti e i mezzi per leggere la realtà che mi circonda. L’architettura mi ha insegnato l’equilibrio delle forme. La cultura classica mi ha dato modo di raccontare la storia e la simbologia nelle mie mostre, il Perseo e la Gorgone, le Contrade di Siena, Simone Martini, Arrigo VII e Sigismondo di Lussemburgo, ma anche storie più popolari come quelle delle carte da gioco napoletane. Senza una formazione culturale e la passione per lo studio continuo, tutto questo non sarebbe stato possibile.

Qual è la sua fonte di ispirazione?

La mia ispirazione principale sono i miei orizzonti culturali, ambientali e architettonici. Ho vissuto e vivo la Roma di Alessandro VII, del Borromini, del Bernini, di Pietro da Cortona. Adoro il Barocco, la massima espressione della passione e del colore. Sono un autodidatta, non ho mai studiato disegno, così per la mia attività, ho deciso di utilizzare l'approccio che per me era più semplice: quello dei sentimenti. Al primo posto c’è il colore, sempre, che con sé porta una conoscenza emozionale e sensoriale, segue la ricerca della simbologia e poi subentra la razionalità con la sua ricerca del dettaglio. I miei gioielli parlano attraverso l’uso degli smalti, delle pietre di colore che diventano uniche negli accostamenti cromatici e nella ricerca formale.

Un gioiello per essere autentico cosa deve avere?

Sono tre gli elementi fondamentali che concorrono alla autenticità e unicità di un gioiello.

Primo: il committente, portatore di un’ emozione.

Secondo: il “Faber”, l’artefice, che ne recepisce l’emozione, la condivide e la coniuga attraverso la propria creatività.

Terzo: il materiale, che diventa il legame tra i primi due soggetti.

Quando devo realizzare un gioiello per una persona, il momento lo rende un pezzo unico e autentico. Ho il cliente davanti a me e penso a quale sarebbe il colore giusto per raccontarlo. Parto da quello, dall’armonia o dalla contrapposizione e da lì costruisco tutto il resto, con invenzione continua.

Come si combinano progettualità e artigianalità nelle sue opere?

In modo assolutamente istintivo e intuitivo. L’intuizione è il sapere inconscio della creatività. Inizialmente realizzavo direttamente gli oggetti, magari tracciando qualche segno sul metallo prima di iniziare il lavoro. Poi ho cominciato a disegnare ad personam per i clienti, ma nel mio disegno c’era già l’oggetto finito, avevo ben presente come realizzarlo. Adesso i miei progetti più arditi vengono supportati dalla capacità sia realizzativa sia di padronanza dei nuovi sistemi informatici di mio figlio Giuliano, ma l’artigianalità e la manualità sono sempre parte integrante di ogni nostro lavoro.

Qual è l’opera più curiosa / stravagante che ha realizzato?

Gli accessori e i finimenti gemmati per i tre levrieri della principessa armena, amante di uno dei tre Re Magi, personaggi di uno splendido presepio barocco. Sempre, per lo stesso presepio, il trono di Erode, lo specchio della Vanità, un flabello con piume di pavone e altri oggetti. Gli incontri con il committente sono sempre profondi confronti su storia, teologia, arte, religione, che si concretizzano in piccoli oggetti nati per comunicare a chi ne ammirerà il significato, aldilà della bellezza.

Il suo atelier si trova nel cuore di Roma. Quanto influisce il suo rapporto con la città Eterna nella creazione delle sue opere?

I miei gioielli sono riconoscibili anche grazie al Genius loci. Ho vissuto sempre nel centro di Roma, circondato da architetture straordinarie che sono divenute, senza volerlo, la mia prima fonte d'ispirazione. Ma sono affascinato soprattutto dal rapporto personale e quotidiano con questa città che è tutto e il contrario di tutto, dove il bello e il brutto sono a braccetto, il nuovo e il vecchio, il bene e il male. Roma ha visto tutto e chi ci vive ha dentro di sé inconsciamente tutto questo. Niente mi meraviglia e tutto mi meraviglia. Ma l’amore per Roma non mi ha impedito di vivere una ventennale storia professionale con la città di San Pietroburgo, che mi ha arricchito professionalmente, culturalmente e umanamente. Ho conosciuto maestranze di grande competenza, ho vissuto il loro ambiente culturale e artistico, e sono stato accolto come un amico fraterno per questo comune sentire.

La sua clientela è varia ed eterogenea: dalle star di Hollywood al Vaticano, dalla nobiltà europea alle produzioni cinematografiche. Come coniuga le richieste della clientela con la sua idea di gioiello?

In realtà sono le persone che si adattano alla mia creatività ed estemporaneità, io cerco semplicemente di leggere e interpretare le loro richieste mantenendo profondamente la mia identità. Parliamo comunque di committenti che hanno gli strumenti e la sensibilità per leggere la cultura e la storia racchiuse nelle mie opere, che non amano la produzione di massa e che condividono le mie stesse emozioni. La grande bellezza di un lavoro creativo è che ti permette una vita trasversale, un contatto con realtà completamente diverse dal tuo quotidiano, rapporti professionali che aggiungono conoscenze ed esperienze, a volte anche profonde amicizie. Chi ama i miei lavori ha già fatto una scelta che ci avvicina. E’ uno scambio, e la mia curiosità mi porta a non precludermi alcuna sfida, come un antico mercante sulla via della seta che non scambiava solo merci, ma cultura.

C’è un’esperienza che ricorda con particolare emozione?

L’esperienza più bella si rinnova ogni volta che vedo la meraviglia negli occhi dei bambini quando seguono la mia matita che corre veloce sul foglio per un disegno che dedico a loro e che accompagno con lo scintillio delle pietre.

A tutt’oggi è il momento che mi emoziona di più, che mi fa provare un profondo senso di stupore. È leggere la vita negli occhi spalancati ed emozionati di questi bambini che guardano attenti e che in qualche modo vedono anche il loro futuro dentro questi segni che traccio. E spesso mi regalano i loro disegni in cambio dei miei draghi.