Come ha reagito il mercato?
L’esito più sorprendente è stato il beneficio strategico che abbiamo riscontrato a livello di comunicazione e di immagine dell’azienda. Il nostro catalogo di prodotti ha dimostrato la gamma di lavorazioni che siamo in grado di eseguire, aprendoci a nuove e inattese opportunità non solo nell’ambito del prodotto, ma anche in quello del servizio custom. Oggi lavoriamo su entrambi questi due mondi. I prodotti Mingardo esprimono il nostro stile, elegante e minimale, e rappresentano un territorio di contaminazione e confronto con i diversi designer che chiamiamo a collaborare con noi, nell’ambito però di una chiara direzione artistica. Le lavorazioni custom spaziano enormemente - dalle cucine su misura alle sculture, in relazione alle richieste dei committenti – e trovano proprio nei nostri prodotti il loro miglior catalogo: la garanzia per il cliente che siamo in grado di realizzare quanto ci viene chiesto.
Qual è l’obiettivo della recente apertura della Galleria Mingardo a Milano?
Volevamo un luogo dove portare clienti e architetti e mostrare che sappiamo realizzare oggetti ma anche progettare interi ambienti, con grande flessibilità. Se ci viene affidato un progetto d’ambiente, siamo noi a fare da capofila di tutto il progetto: possiamo anche scegliere l’architetto più idoneo all’interno del nostro network, e gestire le collaborazioni con gli altri artigiani per tutte le altre lavorazioni: vetro, legno, etc. Avremmo voluto aprire la Galleria a Monselice, ma sarebbe diventata presto una caotica appendice del laboratorio, sopraffatta dal caos creativo. Abbiamo scelto quindi Milano, che è il luogo giusto per instaurare un dialogo con le migliaia di architetti e designer che ci lavorano o la frequentano in occasione dei grandi eventi cittadini.
La manualità rimane centrale anche in un’attività artigiana che fa ampio uso di strumenti e tecnologie?
Siamo ormai usciti dalla concezione tradizionale del fabbro che batte il ferro. Per effettuare alcune lavorazioni sono richieste non solo competenze manuali ma anche macchine e tecnologie evolute. Se si parla di artigianato, però, quello che fa la differenza è sempre la manualità, anche nell’utilizzo delle macchine e degli strumenti. Credo sia questa la visione corretta dell’artigianato contemporaneo.
Quale consiglio vorresti dare agli artigiani che cercano un approccio più contemporaneo al mestiere?
Farò un esempio. Tempo fa, se gli avessero chiesto di eseguire una saldatura su ottone con la saldatrice a TIG - uno strumento che garantisce un lavoro particolarmente pulito e senza residui – mio padre avrebbe risposto che non è possibile: per l’ottone ci vuole il cannello. Ecco: l’artigiano risponde spesso che “non si può fare”. Si basa sulla sua grande esperienza, e fa bene, ma si chiude di fronte alle novità. Io invece ci ho provato, ci ho passato le nottate, ho sperimentato, e ce l’ho fatta. Ora saldo tutti i metalli a TIG. Agli artigiani consiglio di osare, di aprirsi al nuovo, di cercare di imparare, di condividere i loro segreti e le loro conoscenze senza esserne gelosi. La mentalità giusta è che si può fare, basta trovare il modo di farlo.
Hai ricevuto il riconoscimento di Maestro d’Arte e Mestiere nel 2020. Che significato ha per te?
In Italia, a livello di artigianato, abbiamo tante straordinarie eccellenze che si stanno purtroppo perdendo. Provo un’enorme gratitudine per chi, come la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, difende e promuove da tanti anni e con grande impegno questo immenso patrimonio, e sono onorato di aver ricevuto il titolo di Maestro d’Arte e Mestiere.