Abbiamo incontrato Ugo La Pietra nel suo studio-laboratorio a Milano

La sua ricerca personale è caratterizzata dalla definizione delle relazioni tra individuo e ambiente, variando i linguaggi e operando sempre attraverso molteplici discipline tra cui il cinema, la pittura, il disegno e l'architettura.

Architetto La Pietra, quando ha iniziato la sua attività?

Ho iniziato la mia attività di pittore nel 1960, realizzando le prime opere tese verso una pittura segnica. Mi sono laureato in Architettura nel 1964 presso il Politecnico di Milano.

Come gestisce il difficile rapporto tra le tecniche della mano e la creatività della mente?

Il lavoro manuale è una parte fondamentale della mia ricerca, proprio perché gran parte delle mie opere sono realizzate a mano da artigiani. Deve sapere che sono l'unico artista che firma le sue opere con due nomi: il mio e quello dell'artigiano che ha realizzato l'opera. Nominare qualcuno significa dargli l'importanza e riconoscere il valore aggiunto che il suo nome può portare all'opera.

Ci sono quindi delle prospettive per i Maestri d'arte?

Purtroppo solamente pochissimi addetti ai lavori conoscono un "maestro d'arte". E' proprio sul nome che una persona dovrebbe insistere, perché fino a quando non esistono i nomi dei maestri d'arte non esisteranno neanche loro. E' proprio per questo che per me è importante firmare le opere anche con i nomi degli artigiani.

Il lavoro manuale è una parte fondamentale
della mia ricerca, proprio perché gran parte delle
mie opere sono realizzate a mano da artigiani

La passione è sempre quella della ricerca.
Una ricerca orientata al "recupero della manualità"

Non conoscendo i Maestri d'Arte come si può riconoscere l'unicità dei loro prodotti?

Il valore di un oggetto viene attribuito in due modi: attraverso il valore dei materiali che creano l'opera e attraverso il valore che le viene assegnato dal mercato. Come fanno gli oggetti "fatti a mano" a farsi attribuire questo "valore aggiunto" se non vengono riconosciuti dal mercato? C'è uno sfruttamento dell'artigianato da almeno sessant'anni, e probabilmente se non cambia niente è perché fa comodo così.

Qual è il suo rapporto con le nuove tecnologie?

Già nel 1971 avevo realizzato un progetto che si chiama La Casa Telematica (esposto al MOMA di New York durante la mostra Italy: New domesic Landscape) in cui era illustrato l'uso della telematica e dell'informatica all'interno dello spazio abitativo, come luogo di ricevimento ma anche di divulgazione di messaggi nello spazio urbano.
Insieme a Gianfranco Bettini e Aldo Grasso ho presentato lo stesso progetto alla Fiera di Milano nel 1982, indagando su quali fossero le trasformazioni che la tecnologia stava già portando nelle nostre case.

Come si è evoluta invece la clientela che ordina le sue opere?

Negli ultimi anni c'è stata una crescita d'attenzione nei confronti dell'"Oggetto fatto ad Arte": la mia ricerca dagli anni Settanta si basa su questo concetto, piccole serie e molto curate. Forse adesso il mercato inizia a darmi ragione.

Come percepisce il ruolo delle istituzioni nella gestione, promozione e protezione dei mestieri d'arte?

Il ruolo delle istituzioni è praticamente nullo. Le attività organizzate sono oltremodo generiche perché non c'è nessun strumento di giudizio per dare una "promozione o protezione" adeguata agli artigiani. Purtroppo senza una volontà politica non si va da nessuna parte.

Quale passione la muove, la ispira o la motiva?

La passione è sempre quella della ricerca. Una ricerca orientata al "recupero della manualità", come negli anni Settanta quando m'immergevo nelle mie esplorazioni della città e delle sue periferie, e l'osservazione di questi mondi mi dava continuamente segnali, reperti, tracce, bellezze, pericoli e avventure.

Il suo legame con il territorio è importante?

È molto importante, poiché è proprio da ciò che mi sta intorno che traggo l'ispirazione per realizzare le mie opere. Se fossi nato in un altro Paese avrei sicuramente svolto ricerche che avrebbero dato risultati differenti.

E i giovani come vivono la sua professione? Ha degli assistenti?

Non ho assistenti perché non ho mai voluto che si creasse una scuola attorno a me. Se per mia professione intendiamo il designer, sicuramente i giovani che escono dalle scuole si trovano in una situazione molto complessa.
Il "designer" è una professione fasulla, quasi non esiste. Molte persone che hanno studiato come designer finiscono per fare altre cose attinenti al mondo del design, come i consulenti per aziende o la direzione artistica.
Lei però ha sempre insegnato. Sì, dal 1964 ad oggi ho sempre insegnato, all'inzio facendo l'assistente alla facoltà di Architettura di Milano, ma sono stato anche a Monza, Palermo , Venezia e ho avuto una cattedra all'Accademia di Brera.

Quali difficoltà o disagi percepisce nel suo settore?

Le difficoltà che io vedo riguardano soprattutto l'avvicinarsi spropositato che il design ha nei confronti dell'artigianato. Il design si alimentava prendendo spunto da mondi paralleli, rubando le idee a mondi che non c'entravano niente come l'industria bellica; man mano che in questi settori paralleli si è smesso di inventare è avvenuto uno spostamento verso il mondo dell'artigianato: edizioni sempre più ricercate e preziose, realizzate in tiratura limitata. Il problema è che questo avvicinamento è soltanto una moda ed è simile a un'onda, quando sarà passata non si sa come ne uscirà il nostro povero artigianato.