Questo mese siamo andati a Murano per conoscere meglio Fabio Fornasier, maestro del vetro che ha dato vita alla linea di lampadari LUMurano. Sapienza artigiana, creatività, originalità e tecnica moderna danno origine a un florilegio di forme in vetro soffiato che sembrano in movimento e cambiano aspetto in base al punto di vista dell’osservatore.

Qual è la sua storia? Quale la sua formazione?

Ho iniziato a lavorare in fornace con mio padre nel 1979, a 16 anni. In quegli anni non pensavo sarebbe stato il mio mestiere: lo è diventato quasi come una punizione, in quanto non amavo studiare. Si è dimostrato invece essere un lavoro che amo e che mi piace tuttora.

A quei tempi non esistevano scuole che ti preparano a questo mestiere; il mio primo insegnante è stato mio padre, che purtroppo è venuto a mancare molto presto. Da quel momento è iniziata la mia sperimentazione: per questo posso definirmi in parte autodidatta.

In quale momento ha capito che avrebbe dedicato la sua vita, il suo lavoro al vetro?

Da subito. Quando sono entrato in fornace per la prima volta ho capito che quello sarebbe stato il mio mondo. Mi si aprì uno scenario fantastico: ho capito cosa mio papà riusciva a fare e sono rimasto immediatamente catturato da questo splendido lavoro, dal vetro e dalla sperimentazione che esso permette.

Insomma, la punizione non fu per me così male!

La tecnica della lavorazione del vetro è molto antica. Come concilia la tradizione muranese con la sperimentazione contemporanea?

Mio padre ha sempre fatto lampadari artistici veneziani, molto lavorati, con i fiori e le foglie, ricchi di dettagli. Una tecnica secolare e fondamentale dell’arte vetraria. Quando l’hai acquisita arrivi a creare opere meravigliose. La nostra tradizione è millenaria, non è facile arrivare a soluzioni innovative. Questa è stata la mia sfida: riuscire a coniugare creatività e originalità con un metodo antico, portando contemporaneità e novità, ma senza dimenticare le radici storiche in cui affonda il vetro muranese.

Le sue opere risentono dell’influsso dell’arte contemporanea. Com’è arrivato a questo risultato?

Sono una persona curiosa, in tutto ciò che faccio mi metto in gioco e sperimento. Sono amico di Richard Meitner, artista americano e oggi docente in Portogallo; lui spesso mi diceva che la tecnica muranese è stupenda e affascinante, ma mi ripeteva: “Fabio, devi semplificare”. Da questo suggerimento ho iniziato il mio percorso verso la sperimentazione contemporanea.

A cosa si è ispirato per dare forma ai suoi lampadari?

Il soggetto dei miei lampadari nasce, in realtà, dalla necessità di non avere un’illuminazione elettrica. Ero in Austria per un evento e non volevo esibire qualcosa di visto e rivisto, volevo un’illuminazione a candela come nei tempi antichi. Avevo bisogno di un contenitore per l’olio che a mano a mano si sarebbe consumato bruciando, ed ecco che a cena in un ristorante disegnai il prototipo che ha dato vita ai lampadari LUMurano.

Oltre ai lampadari, cuore della sua creazione, ci sono altri soggetti da lei prediletti? Quali?

Quelli che farò domani. Non mi tiro indietro di fronte alle sfide. Mi piace essere esecutore e artista. Conciliare design e saper fare. Ogni creazione che realizzo mi piace.

Ha partecipato a workshop, performances, esposizioni nazionali e internazionali. C’è un episodio che ricorda particolarmente?

Certamente. Era il 1996, durante un’edizione di “Aperto vetro”, evento legato al vetro contemporaneo mondiale; mi hanno premiato come miglior giovane vetraio di quell’anno. L’opera era un mazzo di fiori, che ai tempi andava un po’ fuori dai tipici schemi muranesi: era un vaso con un mazzo di rose. Prima di allora nessuno l’aveva fatto.

A quale opera è più legato? Perché?

“Aria e fuoco”, il lampadario dalle forme tipiche della mia produzione, alimentato a olio. Quello è il punto di partenza di tutta la collezione LUMurano, ne è il prototipo.

Qual è la commissione più curiosa che ha ricevuto?

Ho ricevuto diverse richieste “bizzarre”: la più curiosa e più difficile da realizzare è stato un enorme polipo per degli importanti clienti americani che volevano posizionarlo nel loro yacth.

Soggetto particolare, una sfida legata all’altezza dell’abitacolo, alle vibrazioni del motore e ai momenti del mare; ho studiato e sperimentato molto prima di arrivare all’opera finale.

Qual è l’aspetto del suo lavoro che più la rende felice?

I riconoscimenti dei miei clienti.

Ma una delle cose belle è arrivare in fornace la mattina e vedere cos’hai realizzato il giorno prima. La curiosità di svegliarsi presto al mattino per vedere com’è venuta un’opera è una cosa che tuttora mi affascina.

Qual è il consiglio che vuole dare ai giovani che decidono di avvicinarsi a questo mestiere?

Devono farlo. Il maestro vetraio non è mai stato considerato un bel lavoro: l’immagine che avvolge l’artigiano è spesso desueta e poco interessante. Io voglio far vedere che lavorare il vetro è nobile, remunerativo e ti dà soddisfazione.

Gli artigiani del vetro non solo si “sporcano” dignitosamente le mani, ma sono anche creativi. Possono divenire designer essi stessi, mettendoci creatività, originalità e sperimentazione; inoltre sono anche imprenditori, devono quindi avere una visione ampia dell’attività, cercando di coniugare testa, tecnica e spirito imprenditoriale per arrivare a grandi risultati.

La fatica è tanta, ma le soddisfazioni la superano: è il messaggio che mi sento di dare ai giovani che vogliono avvicinarsi a questo mondo.