Quanto ha influito la sua formazione nella scelta di questo mestiere?
Anche se questo mestiere è nato un po' per caso, gli studi classici prima e la progettazione architettonica poi sicuramente hanno esercitato una forte influenza sul mio approccio al lavoro. La filosofia e in particolare la letteratura greca, con i suoi miti e la fortissima presenza della Natura in ogni cosa, hanno stimolato la mia fantasia e suggerito fusioni esteticamente curiose tra forme umane e vegetali, piuttosto che marine, astrali o animali. La formazione di architetto mi ha allenata a immaginare forme tridimensionali, all'attenzione e alla ricerca dell'equilibrio tra insieme e dettagli, tra struttura portante ed elementi decorativi, tra vuoti e pieni. Mi è utile alleata anche nell'organizzazione del lavoro, nell'imbrigliare e limitare a recinti possibili una fantasia a volte strabordante e delirante, che forse senza una una disciplina rigorosa si disperderebbe in qualcosa di insensato e irrealizzabile.
Quando ha capito che avrebbe dedicato la sua vita alla carta?
Inconsapevolmente forse, ma già nei primi anni della mia vita. Un richiamo istintivo all'uso delle mani e delle forbici, alla trasformazione di un semplice pezzo di carta in qualcos'altro. Uno dei primi ricordi è la carta beige spessa e materica della macelleria, portata a casa da mia madre e sottratta alla spazzatura per disegnarci la forma delle mie mani, ritagliarle e applicarle a rilievo ai lati del viso di un bambino disegnato prima, per ottenere un effetto di profondità. O il disegno di due cittadine divise da un fiume e collegate da un ponte a rilievo sul foglio. O le piume di carta attaccate al cappellino di una signora disegnata sul cartoncino. Da lì non ho più smesso di credere che con la carta più o meno tutto fosse possibile.
Qual è la fonte di ispirazione per le sue creazioni?
Il tutto, il mondo e oltre. I sogni che faccio, le cose belle della natura, come i fiori, ma anche quelle brutte, come le macchie o i parassiti delle piante. Gli uccelli bellissimi con le loro piume, ma anche gli insetti, sgradevoli con i loro gusci, le ali, le zampe. L'architettura con i suoi dettagli decorativi o le mappe delle città e i boschi visti dall'alto che diventano pattern. Le parrucche settecentesche, i labirinti, le regine, le moschee, gli strumenti musicali, i sistemi planetari... un mondo senza fine di elementi d'ispirazione che possono trasformarsi e fondersi per rinascere in forme nuove.
Come avviene il processo di ideazione, progettazione e realizzazione di un'opera?
Semplicemente tutto comincia da un'immagine, che sia cercata o sottoforma di visione. Se il lavoro ha un committente e deve rappresentare qualcosa di preciso, è proprio quel mondo che mi suggerisce come posso metterlo in scena, pescando tra le sue immagini e i suoi contenuti e rimontandoli insieme in un oggetto nuovo e armonico.
Se invece sono mie creazioni, mi baso esclusivamente su stimoli e visioni che senza chiedere si palesano nella mia testa. Schizzo dei bozzetti, delle forme che poi arricchisco di dettagli, o parto da un dettaglio e costruisco un insieme. Annoto dei pensieri e dei suggerimenti sul tipo di carta che potrei usare per le varie parti. O delle soluzioni costruttive, in caso di un'opera più complessa e poi vado in automatico, è rilassante.
Come si combinano progettazione e artigianalità nelle sue creazioni?
Sono entrambe necessarie e spesso indissolubili. In genere progetto solo quello che so che saprò realizzare con le mie mani. Sono piena di immagini e immaginazione ma sono anche una persona estremamente pratica, un artista artigiano: uno dei miei doni è trovare sempre le soluzioni per arrivare al risultato immaginato. La sfida è riuscire ad avvicinarmi il più possibile al sogno, alla visione fuoriuscita dalla testa.
Qual è l'opera più stravagante realizzata? E quella a cui tiene maggiormente?
Difficile dire, quello che faccio è tutto un po' stravagante! Un arazzo fatto come un mandala di riccioli concentrici di carta dove, mentre lavoravo, nel mezzo sì andava sempre ad arrotolare il mio gatto. Questo mi ha suggerito di fare un gatto di carta con tanto di pelliccia, al centro dell'arazzo. L'ha comprato un uomo d'affari degli Emirati arabi di passaggio a Milano!
L'opera alla quale tengo di più è un busto con testa che si chiama Metropolisa: una donna città o una città donna, con gli edifici e la strada che si arrotolano attorno a un corpo femminile. La pelle è una mappa, un intreccio di strade, rotonde, cavalcavia. È un'opera fatta a 4 mani e da tre teste. Le mie, quelle di mio figlio Thomas che ai tempi aveva 14 anni e ha ideato e disegnato tutta la parte "urbanistica" della scultura e la testa di Nicoletta Cicalò, che ha inventato la toponomastica, con ironia e fantasia. È la mia mascotte e la terrò sempre con me.
C'è un momento che ricorda con particolare emozione?
Il batticuore a mille dietro alle quinte della mia prima sfilata di abiti di carta, per una nota marca di macchine stampanti: il terrore che con i movimenti delle modelle si spezzassero o si staccassero delle parti... Poi l'applauso ed era fatta! O una signora molto anziana che alla fine della visita di una mia mostra a Lucca mi disse che le avevo regalato un sogno di tale bellezza, che da quel momento avrebbe potuto morire felice.
O i complimenti e lo sprone a insistere in questa avventura di fantasia e bellezza da parte di un grande Maestro come Roberto Capucci, tanti tanti anni fa.
E la mano che mi tremava nel firmare il librone del MAM - Maestro d'Arte e Mestiere in Triennale, nonostante le tante situazioni pubbliche vissute: un riconoscimento toccante, il sentirmi parte di una famiglia dove chi ci mette il cuore e il talento per produrre bellezza è rispettato, è tenuto in una considerazione speciale, come un piccolo grande dono del mondo, come un fiore o un cristallo.
Cosa prova quando modella la carta?
È una sorta di meditazione, una specie di stato di trance, un piacevole allontanamento dai pensieri e dalle cose quotidiane, un fluido che dalla testa scorre alle mani e alla materia da modellare. Un gesto e una sensazione talmente naturali da essere difficili da descrivere.