C’è una persona che ha influito nella sua scelta di diventare liutaio? O nel suo percorso formativo e lavorativo?
Innanzitutto i miei genitori, che mi hanno permesso di diventare ciò che volevo, assecondando le scelte didattiche e formative, nonostante fossero molto perplessi all’inizio. Nel mio percorso professionale molti maestri importanti sono state mie guide: Renato Scrollavezza mi ha insegnato a lavorare, Charles Beare mi ha aiutato a conoscere gli strumenti, Jurgen Von Stietencron a guardare gli strumenti in modo diverso, per citarne alcuni. Ma ogni giorno mi imbatto in grandi personalità perché devo ancora imparare, non si smette mai di conoscere.
Cosa vuol dire “guardare gli strumenti in modo diverso”?
I violini non sono tutti uguali: siamo ingabbiati in misure standard che devono essere tassativamente rispettate e all’idea di realizzazione acustica che il cliente si aspetta. Nonostante questi schemi precostituiti, abbiamo molta libertà. Così si tratta di trovare le strade per fare bene, fare meglio e fare personalmente. Poter trovare soluzioni all’interno di queste griglie è l’atteggiamento fondamentale per un liutaio, perché fare violini non significa affatto riprodurre sistematicamente sempre lo stesso prodotto, in una sorta di alienazione.
Il riccio può considerarsi la firma del liutaio?
Il riccio, ossia la voluta conclusiva della testa, è la parte più scultorea del violino, quindi il liutaio più intervenire maggiormente. In realtà la scultura delle bombature, pertanto il gonfiore della tavola e del fondo, è altrettanto importante, divenendo il marchio di fabbrica dell’artigiano. L’individualità del liutaio si vede da questi due elementi, ma anche dalla forma degli strumenti, che avviene sulla scelta millimetrica, ma che dà un risultato acustico completamente diverso.
Quali tipi di legno si utilizzano per la realizzazione di un violino?
Le essenze che utilizzo sono sempre le stesse che si usavano nel Cinquecento, ma ogni pezzo di legno ha una sua forma, una sua caratteristica precisa e sta a noi dare quella forma e quello spessore ideali per il violino. Per esempio per l’abete di risonanza si va direttamente nei luoghi montani dove cresce l’albero, si sceglie il materiale con cura e attenzione e poi si aspetta che stagioni per 10/15 anni prima di utilizzarlo. I liutai sono pazzi per il legno, è il nostro elemento.
Come si sceglie il legno “perfetto”?
Fondamentale è l’esperienza del liutaio: si osservano le caratteristiche macroscopiche del legno, se la vena è dritta, storta, larga, sottile; com’è cresciuto l’albero. Poi ci si fa un’idea della densità, della qualità della pasta, della rigidità del legno, per capirne il risultato finale e come suonerà lo strumento.
Lei forma le future generazioni di liutai. Per Fondazione Cologni ha già accolto nel suo atelier 3 giovani tirocinanti. Cosa vuol dire per lei la trasmissione del saper fare?
È un lavoro impegnativo, faticoso, importante e a cui un insegnante deve dedicarsi anima e corpo, sapendo che bisogna impiegare molto tempo; il liutaio sa che deve accompagnare il ragazzo, ma non deve limitarsi a stargli accanto, deve anche essere in grado di trasmettere gran parte della sua esperienza nel minor tempo possibile. Quest’azione deve essere fatta con estrema onestà. Come diceva Bernardo di Chartres: “Noi siamo nani su spalle di giganti”, ognuno di noi è bravo perché ha saputo apprendere dai maestri e trasformare ciò che ha imparato in qualcosa di migliore. Il mio risultato migliore lo vedo nei miei allievi: due anni fa al concorso internazionale di liuteria un mio allievo si è classificato secondo, un momento di grande soddisfazione, molto di più che se il violino fosse stato mio.