C'è una persona che ha influito nella scelta del suo mestiere?
Tanti bravi insegnanti come Carlo Zauli, Alfonso Leoni, Augusto Betti hanno fatto crescere il mio amore per la ceramica e per l’arte. In particolare, c’è stato un libro. Lo conservo ancora pieno di schizzi, appunti e sottolineature: Filiberto Menna La linea analitica dell’arte moderna, del 1977, mi ispirò ai tempi dei miei studi all’Accademia, offrendomi una riflessione poetica poi ampliata in mostre con lo stesso Menna, Enrico Crispolti, Vittorio Fagone, Franco Solmi. Aver poi conosciuto e collaborato con Bruno Munari è stato fondamentale.
Da cosa trae ispirazione per le sue opere?
Sono sempre stata affascinata dall’Oriente. Il mio primo viaggio è stato in Giappone nel 1981 all’età di 25 anni, quando partecipai con la delegazione faentina allo scambio culturale con la città gemellata Toki-shi. Mi sono subito innamorata di questa terra: del loro amore per la bellezza delle cose, una bellezza autentica che riguarda la sfera intima e misteriosa dell’anima che bisogna scoprire lentamente. Sono stata diverse volte in Cina e Corea del Sud, e tutte le volte porto a casa qualche piccolo segreto tecnico sulla porcellana così poco conosciuta a Faenza. Per quanto riguarda l’estetica sono stata influenzata dalla Moda e dal Design italiani, che fanno della leggerezza e dell'attenzione al dettaglio una loro prerogativa, così incredibilmente in linea con il mio modo di essere e di lavorare.
C'è un'opera che ricorda con particolare emozione? Perché?
La prima opera delle serie “Ghost still life” e “Virtual Museum” perché é stato talmente complicato poter realizzare quello che avevo in mente che quando ho visto il lavoro finito ho avuto un tuffo al cuore! Cerco di portare la ceramica, che normalmente è un materiale pesante, verso una 'immagine di leggerezza'. Per ottenere ciò, uso anche la luce. La luce crea un'ombra, l'opera si tocca, l'ombra si vede ma non si tocca, perché è intangibile. È un concetto misterioso e profondo. Sono sempre stata affascinata dalle ombre e dalla storia della ceramica. Così, nel 2013 ho iniziato a studiare come avrei potuto combinare queste due antiche idee e a tutt’oggi sto ancora esplorando questo concetto, creando sempre più variazioni.
Qual è l'opera più stravagante realizzata?
Un’installazione luminosa intitolata “Trame di luce”, alta 3 metri, dove fibre ottiche e forme di porcellana si intrecciano e dialogano. Un fascio di vibranti lamine luminose, che riempiono lo spazio e si intersecano in corpi traforati di porcellana molto traslucida. Le fibre assumono una funzione di legante, avvolgono, permeano l’insieme, ponendo la materia nello spazio, alleggerendo e sollevando l’opera che si innalza e libra nel vuoto. Per installarla sono stata tre giorni arrampicata su un ponteggio.
Come unisce tradizione e innovazione nel suo lavoro?
La mia progettazione parte da una rilettura della produzione artistica del passato attraverso un filtro personale e una nuova sensibilità. Il mio modo di lavorare non è tradizionale, ma parte dalla tradizione; il mio obiettivo è quello di creare leggerezza in ceramica. Per questo sono partita dal modello rinascimentale in maiolica delle “crespine”, ciotole finemente modellate e realizzate a Faenza tra il XVI e XVII secolo, utilizzate specialmente nelle Corti reali europee come oggetti di lusso. Nel 2005 ho iniziato a rivisitare queste coppe volendo creare una versione contemporanea in porcellana, modificando sia il materiale che la tecnica in cui decorazione e struttura sono tutt’uno. Sono manufatti quasi immateriali, impalpabili fili, ornamenti, pizzi traforati, filigrane di candide trine.
Cosa significa creatività per lei?
La creatività non è solo il frutto spontaneo o estemporaneo di un’intuizione, di un’idea luminosa, bensì si innesta e si radica in una formazione di artista e designer, che ha assimilato la tradizione ed è selettivamente attenta alle tendenze contemporanee. La creatività si esprime anche in una tenace ricerca, in una progettualità, in una sperimentazione che richiede perizia nei complessi procedimenti e padronanza delle tecnologie e dei materiali.
Lei ha insegnato e tiene tuttora workshop in Italia e nel mondo. Cosa significa per lei “trasmettere il saper fare”?
Essere nati e cresciuti in Italia, a volte può significare per noi artisti sentire il peso della nostra storia. Specialmente vivendo a Faenza si può sentire l'influenza dei nostri mille anni di tradizione; è proprio per questo che bisogna lasciare il proprio Paese e mettersi in discussione. Negli ultimi anni ho viaggiato molto in Asia, Europa e Stati Uniti ed è stato un momento di scambio culturale molto importante per la mia carriera: trovandomi in contatto con artisti di tutto il mondo ho potuto condividere le mie esperienze e dialogare, confrontandomi su poetiche e tecniche completamente diverse dalla mia. Ho insegnato tutta la vita alla Scuola di ceramica di Faenza, un lavoro che ho amato, per me è stata una gioia poter trasmettere ai giovani la passione per l’arte, il design e la ceramica.