La città di Modena vanta una solida tradizione nell'ambito della pelletteria artigianale, che si manifesta in creazioni di lusso e capacità nel lavorare pellami preziosi quali coccodrillo e struzzo,

trasformati all'ombra della Ghirlandina in borsette firmate, portafogli e altri articoli di piccola pelletteria.
In un contesto produttivo oggi dominato dalle produzioni per conto delle grandi firme, si distingue nel cuore del centro storico, in corso Canal Grande, la realtà di Omar Baraldi, 56 anni, che porta avanti l'ideale rinascimentale della bottega artigiana. La sua “creatura” si chiama “La vacchetta grassa”, è stata fondata nel 1979 e opera esclusivamente con marchio proprio: vendita al pian terreno e produzione al piano soppalcato, tra profumi di pelle conciata al vegetale e fascino degli antichi strumenti del mestiere. Baraldi e i suoi collaboratori si distinguono per la capacità di lavorare pelli bovine, acquistate in Toscana, e materiali pregiati come struzzo, anguilla e soprattutto la pelle di razza, con cui realizza portafogli che sono autentiche opere d'arte.

Qual è il legame tra Modena e la manifattura delle pelli?

La storia della concia e della lavorazione delle pelli al vegetale, dette “vacchetta”, affonda le radici nelle strade del centro città dove un tempo scorreva l'acqua, elemento indispensabile per la trasformazione dei pellami. Con il passare dei secoli, le concerie hanno gradualmente ceduto il passo alle attività manifatturiere della pelle. Io, pur non essendo figlio di pellettieri, sono stato letteralmente “stregato” da un ritaglio di vacchetta che mi capitò tra le mani ai tempi della scuola d'arte e da allora decisi che nella vita mi sarei dedicato esclusivamente a questo mestiere, partendo da zero. La bottega attuale è il risultato di un intervento strutturale effettuato lo scorso anno. Partendo, nel '79, da una stanza di 9 metri quadrati, pian piano sono arrivato ad occuparne 200, potendo contare su tre collaboratori. La mia è una bottega con annesso laboratorio artigiano.

L'artigiano del terzo millennio deve saper coniugare imprenditorialità, capacità di realizzazione del prodotto, immagine coerente con la qualità del manufatto e, per quanto gli è possibile, investimenti in comunicazione al fine di essere conosciuto anche fuori regione.

Dall'artigianato potrebbe dipendere la riqualificazione di tanti centri storici italiani.

A chi vendete le vostre creazioni?

Avendo scelto espressamente di non lavorare né per conto delle grandi firme né su commessa, la maggior parte della produzione viene effettuata per la vendita diretta in negozio. Proponiamo una serie di articoli continuativi, quei “classici” che non possono mancare in una cuoieria, con l'inserimento in parallelo di alcuni pezzi di tendenza. Una parte residuale della produzione è destinata al mercato giapponese. La clientela della bottega era in un primo tempo locale, ora però sono aumentati i turisti, compresi gli asiatici. È bello pensare che scelgano di visitare Modena non soltanto per la Ferrari, ma anche per ammirare la bottega e acquistare le nostre borse, cinture e portafogli.

Ritiene che sia in atto una riscoperta dell'artigianato artistico?

Senz'altro, ma al tempo stesso sono certo che l'ideale del vecchio artigiano non abbia futuro. Occorre invece la sensibilità dell'imprenditore, che ho acquisito con anni di corsi effettuati presso strutture pubbliche e associazioni di categoria, come la Cna. L'artigiano del terzo millennio deve saper coniugare imprenditorialità, capacità di realizzazione del prodotto, immagine coerente con la qualità del manufatto e, per quanto gli è possibile, investimenti in comunicazione al fine di essere conosciuto anche fuori regione. Infine, la location in città assume un peso determinante, se vogliamo iniziare a utilizzare le potenzialità che il turismo dovrebbe offrire alla nostra economia. Dall'artigianato potrebbe dipendere la riqualificazione di tanti centri storici italiani.

Quale futuro vede per la sua attività?

Nel momento in cui la bottega ha iniziato a reggersi sulle proprie gambe, ho cercato dei giovani a cui insegnare ciò che avevo imparato in oltre trent'anni di carriera. Se oggi siamo in questo spazio, se ho deciso di investire per “allargarmi”, lo devo anche a loro. Ora vorrei trasformare la bottega in una scuola del cuoio, perché si tratta di un prodotto identitario, che appartiene alla storia del nostro Paese. Lo dobbiamo tenere in vita e consegnare alle future generazioni, senza più nasconderci, perché è proprio dall'assenza degli artigiani, dalla paura di mostrarci al pubblico, che può dipendere la fine di una tradizione secolare. Se non mostriamo più queste lavorazioni, come possiamo poi sperare che i consumatori le vadano a cercare?